Ricorso ai sensi dell'art. 127 Costituzione  del  Presidente  del
Consiglio  dei   ministri   in   carica,   rappresentato   e   difeso
dall'avvocatura generale dello Stato (codice fiscale n.  80224030587,
n.  fax  06/96514000  e  P.E.C.  per  il   ricevimento   degli   atti
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) nei cui uffici e' domiciliato  in
Roma alla via dei Portoghesi n. 12 contro la  Regione  Siciliana,  in
persona del Presidente della Regione in carica, domiciliato presso la
sede della regione in Palermo, piazza  Indipendenza  n.  21,  Palazzo
d'Orleans (Cap 90129) per l'impugnazione dell'art. 3 comma 2  lettera
f), dell'art. 11 comma 4, dell'art. 14 e  dell'art.  16  della  legge
regionale  siciliana  n.  16  del  10  agosto  2016,  pubblicata  sul
supplemento  ordinario  della  Gazzetta   Ufficiale   della   Regione
Siciliana n. 29 del 19 agosto 2016, recante  «recepimento  del  testo
unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia
edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica  del 6
giugno 2001 n. 380», come da  delibera  del  Consiglio  dei  ministri
adottata nella seduta n. 135 dell'11 ottobre 2016. 
    Nella Gazzetta Ufficiale della regione siciliana  del  19  agosto
2016 n. 36 del supplemento ordinario e'  stata  pubblicata  la  legge
regionale del 10 agosto 2016 n. 16 intitolata «Recepimento del  testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
edilizia approvato con decreto  del  Presidente  della  Repubblica  6
giugno 2001 n. 380». 
    Con la citata delibera dell'11 ottobre 2016 il Governo ha  deciso
di impugnare gli articoli 3 comma 2 lettera f), 11 comma 4, 14  e  16
della  predetta  legge  regionale,   ritenendola   costituzionalmente
illegittima per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
 
                                  I 
 
Premessa generale. 
    In via preliminare, si  osserva  che  lo  Statuto  della  Regione
Sicilia approvato con regio decreto legislativo del 15  maggio  1946,
n. 455, convertito in legge costituzionale del 26 febbraio  1948,  n.
2, attribuisce  alla  Regione  competenza  legislativa  esclusiva  in
materia urbanistica. Detta competenza, ai sensi del medesimo art. 14,
comma 1, deve esercitarsi  «nei  limiti  delle  leggi  costituzionali
dello Stato» e deve inoltre rispettare le cosidette «norme di  grande
riforma economico-sociale» poste  dallo  Stato  nell'esercizio  delle
proprie competenze legislative (confronta, per lo statuto  siciliano,
l'art. 14, comma 1, che discorre di «riforme agrarie  e  industriali»
(sulla soggezione della potesta'  primaria  della  Regione  siciliana
alle norme di grande riforma economico-sociale (confronta, ad es., le
sentenze Corte costituzionale nn. 21 del 1978, 385 del 1991, 153  del
1995). 
    Inoltre, si ricorda che  la  Corte  costituzionale,  premesso  il
carattere «trasversale» della  materia  «tutela  dell'ambiente»,  che
inevitabilmente comporta ambiti di sovrapposizione rispetto ad  altri
ambiti  di  competenza,  in  piu'  occasioni  ha  affermato  che  «la
disciplina unitaria e complessiva del bene  ambiente  inerisce  a  un
interesse pubblico di valore costituzionale primario  ed  assoluto  e
deve garantire un elevato livello di tutela, come  tale  inderogabile
da altre discipline  di  settore»  e  che  pertanto  la  legislazione
statale deve prevalere rispetto a  quella  dettata  dalle  regioni  o
dalle province autonome, salvo che queste ultime non intervengano  in
modo piu' rigoroso rispetto a quanto previsto dalla normativa statale
(confronta  sentenza  n.  20/2012,  n.  191/2011,  n.  378/2007;   n.
226/2003; n. 536/2002; n. 210/1987; n. 151/1986). 
    Infine,  in   relazione   alla   materia   «protezione   civile»,
considerato che lo  Statuto  speciale  della  Regione  Siciliana  non
prevede espressamente detta materia, ne'  nell'elencazione  contenuta
nell'art. 14, che  riguarda  le  materie  di  competenza  legislativa
esclusiva, ne' nell'ambito dell'art. 17 , concernente le materie  per
le quali e' attribuita  alla  Regione  competenza  all'emanazione  di
leggi entro i limiti  dei  principi  ed  interessi  generali  cui  si
informa la legislazione dello Stato, deve ritenersi, in virtu'  della
clausola  di  maggior  favore  contenuta  nell'art.  10  della  legge
costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, che  la  Regione  Siciliana
sia titolare nella  materia  in  argomento  di  potesta'  legislativa
concorrente, competenza che deve esercitarsi quindi nel rispetto  dei
principi fondamentali della materia posti dallo Stato. Tanto premesso
in  linea  generale,  si  evidenziano,  con  riferimento  ai  singoli
articoli di legge impugnati, i  seguenti  profili  di  illegittimita'
costituzionale. 
 
                                 II  
 
Articolo 3, comma 2, lettera F) 
    Violazione  dell'art.  14  comma  1  dello  Statuto  Siciliano  e
dell'art. 117 comma 2 lettera «s» in relazione all'art. 5 del decreto
legislativo  del  3  marzo  2011  n.  28,  all'art.  12  del  decreto
legislativo del 29 dicembre 2003 n. 387 ed all'art.  20  del  decreto
legislativo del 3 aprile 2006 n. 152. 
    L'art. 3,  comma  2,  prevede  che  «nel  rispetto  dei  medesimi
presupposti di cui al comma 1, previa  comunicazione  anche  per  via
telematica dell'inizio dei lavori, nelle more dell'attivazione  delle
previsioni  di   cui   all'art.   17,   da   parte   dell'interessato
all'amministrazione comunale, i seguenti  interventi  possono  essere
eseguiti senza alcun titolo abilitativo: (omissis). 
    f) gli impianti ad energia rinnovabile di cui agli articoli 5 e 6
del decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28,  da  realizzare  al  di
fuori  della  zona  territoriale  omogenea  A  di  cui   al   decreto
ministeriale n. 1444/1968, ivi compresi gli  immobili  sottoposti  ai
vincoli del decreto legislativo n. 42/2004. (omissis). 
    Ai fini che qui rilevano, il comma 1 del suddetto art. 3 fa salve
tutte  le  prescrizioni  relative  alle   «norme   antisismiche,   di
sicurezza,  antincendio,  igienico-sanitarie,  di   quelle   relative
all'efficienza  energetica,  di  tutela  dal  rischio   idrogeologico
nonche' delle disposizioni contenute nel decreto  legislativo  del 22
gennaio 2004, n. 42, della vigente normativa regionale sui  parchi  e
sulle riserve naturali e della normativa  relativa  alle  zone  pSIC,
SIC, ZSC e ZPS». 
    La normativa regionale  consente,  dunque,  di  realizzare  senza
alcun titolo abilitativo tutti gli impianti  ad  energia  rinnovabile
«di cui agli articoli 5 e 6  del  decreto  legislativo  n.  28/2011»,
fatte salve le prescrizioni indicate nel  citato  comma  1,  in  cui,
pero', non vi e' alcun riferimento espresso alla disciplina  prevista
dal decreto legislativo n. 152/2006, concernente  la  Valutazione  di
Impatto Ambientale (VIA). 
    Preme, al riguardo, evidenziare che proprio l'art. 5 del  decreto
legislativo  n.  28/2011  assoggetta,  invece,   la   costruzione   e
l'esercizio  degli  impianti  di  produzione  di  energia   elettrica
alimentati da  fonti  rinnovabili  alla  procedura  per  il  rilascio
dell'autorizzazione unica di cui all'art. 12 del decreto  legislativo
n. 387/2003 che fa  salvo,  qualora  previsto,  l'espletamento  della
verifica di assoggettabilita' a VIA. 
    Al comma 4 dell'articolo da ultimo citato e'  disposto,  infatti,
che detta autorizzazione «e' rilasciata a seguito di un  procedimento
unico, al quale partecipano  tutte  le  Amministrazioni  interessate,
svolto  nel  rispetto  dei  principi  di  semplificazione  e  con  le
modalita' stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241,  e  successive
modificazioni  e  integrazioni.   Il   rilascio   dell'autorizzazione
costituisce titolo a costruire ed esercire l'impianto in  conformita'
al progetto approvato e deve  contenere  l'obbligo  alla  rimessa  in
pristino dello stato dei luoghi a carico  del  soggetto  esercente  a
seguito  della  dismissione  dell'impianto  o,   per   gli   impianti
idroelettrici, l'obbligo alla esecuzione di misure di reinserimento e
recupero ambientale. Fatto  salvo  il  previo  espletamento,  qualora
prevista,  della   verifica   di   assoggettabilita'   sul   progetto
preliminare, di cui all'art. 20  del  decreto  legislativo  3  aprile
2006, n. 152, e successive modificazioni, il termine massimo  per  la
conclusione del  procedimento  unico  non  puo'  essere  superiore  a
novanta giorni, al netto dei tempi previsti dall'art. 26 del  decreto
legislativo del 3 aprile 2006, n. 152,  e  successive  modificazioni,
per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale». 
    Appare, dunque, evidente che l'art. 3, comma 2, si pone in  netto
contrasto  con  quanto  previsto  dalla  normativa  nazionale   sopra
richiamata,   assoggettando   ad   attivita'   di   edilizia   libera
genericamente tutti gli impianti da fonti rinnovabili ed escludendoli
tout court, senza una valutazione caso per caso, dalla  procedura  di
screening di cui all'art. 20 del decreto legislativo n. 152/2006. 
    A  nulla  rileva  il  richiamo  fatto  all'art.  6  del   decreto
legislativo  n.  28/2011  che  disciplina  la  procedura  abilitativa
semplificata e  la  comunicazione  per  gli  impianti  alimentati  da
energia in quanto qualora siano «previste autorizzazioni ambientali o
paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal  Comune»,
la realizzazione e l'esercizio dell'impianto e delle  opere  connesse
devono comunque essere assoggettate all'autorizzazione unica  di  cui
all'art. 5 o, in caso di atti di assenso, a conferenza dei servizi. 
    Conclusivamente, l'art. 3, comma 2 della legge regionale de  qua,
contrastando con la normativa statale interposta in materia di tutela
dell'ambiente di cui all'art. 5 del decreto legislativo  n.  28/2011,
all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 ed  all'art.  20  del
decreto legislativo n. 152/2006, eccede dalle  competenze  statutarie
riconosciute  alla  Regione  Siciliana  dallo  Statuto  Speciale   di
autonomia (regio decreto legislativo del  15  maggio  1946,  n.  455,
convertito in legge costituzionale n. 2/1948). 
 
                                 III 
 
Articolo 11. 
    Violazione dell'art.  14  dello  Statuto  Regionale  Siciliano  e
dell'art. 117 comma 1 e comma 2 lettera «a»  della  Costituzione,  in
relazione  alle   disposizioni   della   Direttiva   92/43/CEE   (con
particolare riguardo all'art. 6 di essa) ed all'art. 5  comma  6  del
decreto del Presidente della Repubblica dell'8 settembre 1997 n. 357. 
    Violazione dell'art. 14 dello Statuto della Regione  Siciliana  e
dell'art. 117 comma 2 lettera «s» della  Costituzione,  in  relazione
all'art. 5 comma 6 del decreto del Presidente della Repubblica dell'8
settembre 1997 n.  357  ed  all'art.  20  comma  3  del  decreto  del
Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001 n. 380. 
    L'art. 11 della legge regionale in esame, al comma 4, dispone che
«[...] Nelle restanti aree interne alle zone omogenee A, ovvero sugli
immobili sottoposti ai vincoli del decreto  legislativo  n.  42/2004,
ovvero su immobili ricadenti all'interno delle zone di controllo D di
parchi e riserve naturali, ovvero in aree protette da norme nazionali
o regionali quali pSIC, SIC,  ZSC  e  ZPS,  ivi  compresa  la  fascia
esterna di influenza per una larghezza di 200 metri,  gli  interventi
cui e' applicabile la segnalazione certificata  di  inizio  attivita'
non possono avere inizio prima che siano decorsi trenta giorni  dalla
data di presentazione della segnalazione.». 
    Detto comma  consente,  dunque,  di  avviare  alcuni  interventi,
ricadenti nei siti Natura 2000 e nei parchi, decorsi semplicemente 30
giorni dalla presentazione della segnalazione certificata  di  inizio
attivita' (SCIA), senza una preventiva  valutazione  sulle  possibili
incidenze significative che detto intervento potrebbe avere sul  sito
stesso. 
    Ferma restando la contraddittorieta' della formulazione del comma
4 in esame con quanto previsto dal comma 1 del medesimo art. 11  che,
invece, consente l'inizio dei lavori solo dopo la  «comunicazione  da
parte dello sportello unico dell'avvenuta acquisizione  dei  medesimi
atti di assenso» necessari all'intervento, si deve evidenziare che il
suddetto termine  di  30  giorni  risulta  in  contrasto  con  quanto
previsto dall'art. 5, comma  6,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  357/1997  «Regolamento   recante   attuazione   della
direttiva  92/43/CEE  relativa  alla  conservazione   degli   habitat
naturali  e  seminaturali,  nonche'  della  flora   e   della   fauna
selvatiche». Tale ultima norma  infatti  stabilisce  che  «Fino  alla
individuazione dei tempi per l'effettuazione della verifica di cui al
comma 5, le autorita' di cui ai commi 2 e 5  effettuano  la  verifica
stessa entro sessanta giorni dal ricevimento dello studio di  cui  ai
commi 2, 3 e 4 e possono chiedere una sola volta  integrazioni  dello
stesso ovvero possono indicare prescrizioni alle quali il  proponente
deve attenersi. Nel  caso  in  cui  le  predette  autorita'  chiedano
integrazioni dello studio, il termine per la valutazione di incidenza
decorre nuovamente dalla data in cui le integrazioni pervengono  alle
autorita' medesime.». 
    Detta disposizione, peraltro, e' ribadita dall'art. 20,  comma  3
del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, al quale  fa
riferimento proprio il comma 1 dell'art. 11 in esame. 
    Pertanto, l'avvio dei lavori, consentito dopo  i  30  giorni,  in
mancanza  della  «comunicazione  da  parte  dello   sportello   unico
dell'avvenuta  acquisizione  dei  medesimi  atti   di   assenso»,   e
soprattutto nei casi  nei  quali  l'intervento  abbia  necessita'  di
acquisire preventivamente la Valutazione di Incidenza,  si  configura
come modalita' di superamento dei pareri  mediante  silenzio-assenso,
in palese contrasto con quanto previsto dall'art. 6 del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 357/1997 in attuazione della Direttiva
92/43/CEE (con particolare riguardo al suo art. 6). 
    Alla luce di quanto sopra esposto, l'art. 11, commi 4 della legge
regionale de qua, ponendosi in contrasto con gli obblighi di  origine
comunitaria di cui  alla  Direttiva  92/43/CEE  e  con  la  normativa
statale in materia di tutela dell'ambiente di cui all'art.  5,  comma
6, del decreto del Presidente della Repubblica  n.  357/1997,  eccede
dalle competenze statutarie riconosciute alla Regione Siciliana dallo
Statuto Speciale di  autonomia  (regio  decreto  legislativo  del  15
maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale n. 2/1948). 
 
                                 IV 
 
Articolo 14. 
    Violazione dell'art. 14 dello Statuto della Regione  Siciliana  e
dell'art. 117 comma 2 lettera «l»  della  Costituzione  in  relazione
agli articoli 36, 38, 41, 44 e  45  del  testo  unico  approvato  con
decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001 n. 380. 
    Violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    L'art. 14 recepisce  nell'ordinamento  regionale  l'art.  36  del
testo unico dell'edilizia di cui  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001, in materia di «accertamento di  conformita'».
Tale  disposizione  prevede,  al  comma  1,  che  «..il  responsabile
dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono  ottenere
il permesso  in  sanatoria  se  l'intervento  risulti  conforme  alla
disciplina  urbanistica  ed  edilizia  vigente   al   momento   della
presentazione della domanda». Al comma 3  prevede  che  «In  presenza
della documentazione  e  dei  pareri  previsti,  sulla  richiesta  di
permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile si pronuncia con
adeguata motivazione,  entro  novanta  giorni,  decorsi  i  quali  la
richiesta si intende assentita» . 
    In proposito, si  rappresenta  che  l'art.  36  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001  richiede,  ai  fini  del
rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, la  doppia  conformita'
alla  disciplina  urbanistica  ed  edilizia   vigente   intesa   come
conformita' dell'intervento sia al momento della realizzazione sia al
momento della presentazione della domanda. 
    La  norma  regionale  in  esame  sembra  invece  introdurre   una
surrettizia forma di condono, andando cosi' ad invadere la competenza
legislativa statale. Infatti evidentemente la norma regionale  rende,
di fatto, applicabile l'istituto  dell'accertamento  di  conformita',
previsto dal citato art. 36 del TUE, anche ad interventi che, invece,
eseguiti fino alla data di entrata in  vigore  della  medesima  legge
regionale, avrebbero dovuto essere  realizzati  in  conformita'  alla
disciplina  urbanistica  ed  edilizia  previgente.  E  cio'  con   la
possibilita', secondo la predetta disciplina regionale,  di  ottenere
il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, nel presupposto  che
gli interventi «risultano conformi  alla  disciplina  urbanistica  ed
edilizia vigente  al  momento  della  presentazione  della  domanda»,
ossia, nel caso di specie,  attraverso  una  conformita'  alle  nuove
disposizioni della legge regionale in commento conseguita ex post. 
    Giova ricordare che la rigorosa regola statale del  rilascio  del
titolo in sanatoria di cui all' art. 36 del TUE  e'  volta  a  sanare
violazioni solo «formali». La «doppia conformita'» e' riconosciuta  a
livello giurisprudenziale come  principio  «finalizzato  a  garantire
l'assoluto  rispetto  della  «disciplina  urbanistica  ed   edilizia»
durante  tutto  l'arco  temporale  compreso  tra   la   realizzazione
dell'opera  e  la  presentazione  dell'istanza  volta   ad   ottenere
l'accertamento di conformita'»  (confronta  Corte  Costituzionale  n.
101/2013; Cons. Stato, IV, n. 32/2013, ove si  precisa,  tra  l'altro
che la disciplina  urbanistica  non  ha  effetto  retroattivo;  Cons.
Stato,  V,   n.   3220/2013;   Tribunale   Amministrativo   Regionale
dell'Umbria n. 590/2014), La «doppia conformita'»,  e'  prevista  sia
per gli interventi realizzati in assenza di permesso di costruire,  o
in difformita' da esso, ovvero in assenza di  DIA  alternativa  o  in
difformita' da  essa  (art.  36  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001), sia per quelli eseguiti in assenza  della  o
in  difformita'  dalla  SCIA  (art.  37,  comma  4  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001). 
    In particolare, nella citata sentenza n. 101/2013, la Consulta ha
precisato che «Il rigore insito  nel  principio  in  questione  trova
conferma    anche    nell'interpretazione    della     giurisprudenza
amministrativa, la quale afferma che, ai  fini  della  concedibilita'
del permesso di costruire  in  sanatoria,  di  cui  all'art.  36  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001,   e'
necessario che le opere realizzate siano assentibili alla stregua non
solo della disciplina urbanistica vigente al momento della domanda di
sanatoria, ma anche di quella in vigore all'epoca di esecuzione degli
abusi (pronunce del Consiglio di Stato, sezione IV, 21 dicembre 2012,
n. 6657; sezione IV, 2 novembre 2009, n. 6784; sezione V,  29  maggio
2006, n. 3267; sezione IV, 26 aprile 2006, n. 2306). In tal senso, la
stessa giurisprudenza afferma che la sanatoria in questione - in cio'
distinguendosi  da  un  vero   e   proprio   condono   -   e'   stata
deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi «formali»,
ossia dovuti alla carenza  del  titolo  abilitativo,  rendendo  cosi'
palese la ratio  ispiratrice  della  previsione  della  sanatoria  in
esame, «anche di  natura  preventiva  e  deterrente»,  finalizzata  a
frenare  l'abusivismo  edilizio,  in  modo   da   escludere   letture
«sostanzialiste»  della  norma  che  consentano  la  possibilita'  di
regolarizzare opere in contrasto con  la  disciplina  urbanistica  ed
edilizia vigente al momento della loro  realizzazione,  ma  con  essa
conformi solo  al  momento  della  presentazione  dell'  istanza  per
l'accertamento di conformita'  (citata  pronuncia  del  Consiglio  di
Stato, sezione IV, 21 dicembre 2012, n. 6657).» 
    Anche  alla  stregua  delle  richiamate  stringenti   indicazioni
giurisprudenziali, la  disposizione  regionale  in  commento  risulta
illegittimamente adottata, avendo l'effetto di legittimare  ex  post,
mediante rilascio del titolo abilitativo  in  sanatoria  ex  art.  14
della legge regionale in esame (che recepisce con modifiche l'art. 36
del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001),
interventi cui la stessa  legge  regionale  n.  16/2016  non  avrebbe
potuto essere applicata. 
    A cio' si aggiunga che  la  portata  del  disposto  del  comma  1
dell'art. 14 in commento  e'  tale  da  consentire,  in  ipotesi,  la
legittimazione di  possibili  futuri  interventi  abusivi  attraverso
eventuali   sopravvenute   modifiche   favorevoli   della   normativa
urbanistica ed edilizia. Al riguardo, nella  sentenza  n.  1324/2014,
Sez. V, il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che «risulta
del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione
(o il permesso)  in  sanatoria,  anche  quando  dopo  la  commissione
dell'abuso  vi  sia   una   modifica   favorevole   dello   strumento
urbanistico. 
    Tale ragionevolezza risulta da due fondamentali  esigenze,  prese
in considerazione dalla legge: 
        a) evitare che  il  potere  di  pianificazione  possa  essere
strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e  non  punibile)
cio' che risulta illecito (e punibile); 
        b) disporre una regola senz'altro dissuasiva  dell'intenzione
di commettere un abuso, perche'  in  tal  modo  chi  costruisce  sine
titolo sa che deve comunque disporre la demolizione  dell'abuso,  pur
se   sopraggiunge   una   modifica   favorevole    dello    strumento
urbanistico.». In conclusione la disposizioni regionali in questione,
introducendo  fattispecie  di  condono  in  relazione  ad  interventi
eventualmente abusivi realizzati prima dell'entrata in  vigore  della
legge regionale n. 16 del 2016 e una sorta di condono «a regime»  per
interventi in ipotesi abusivi effettuati  dopo  l'entrata  in  vigore
della stessa, che dovessero risultare sanabili a seguito di ulteriori
modifiche alla  disciplina  urbanistica  ed  edilizia,  travalica  la
competenza  legislativa   esclusiva   nella   materia   «urbanistica»
attribuita  alla  Regione  Siciliana  dallo  Statuto   di   autonomia
(confronta art. 14, comma  1,  (lettera  f)  Testo  coordinato  dello
Statuto speciale della Regione Siciliana approvato con regio  decreto
legislativo del 15 maggio 1946, n.  455  (pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale del Regno d'Italia n. 1333 del 10 giugno 1946),  convertito
in legge costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  2  (pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 58 del 9 marzo 1948),
modificato  dalle  leggi  costituzionali  23  febbraio  1972,  n.   1
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.  63
del 7 marzo 1972), 12 aprile 1989, n. 3  (pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana n. 87 del 14 aprile  1989)  e  31
gennaio  2001,  n.  2  (pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica italiana n. 26  dell'1°  febbraio  2001)»),  invadendo  la
competenza esclusiva  statale,  atteso  che,  secondo  i  consolidati
orientamenti della Corte costituzionale, nella disciplina del condono
edilizio converge la competenza legislativa esclusiva dello Stato  in
materia  di  sanzionabilita'  e  quindi  ordinamento  penale  di  cui
all'articolo 117,comma 2, lettera 1) della Costituzione. 
    Non da ultimo,  quale  profilo  di  ulteriore  contrasto  con  la
disciplina statale, si rileva che, mentre il comma  3,  dell'art.  36
del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001,
stabilisce che «3.  Sulla  richiesta  di  permesso  in  sanatoria  il
dirigente o  il  responsabile  del  competente  ufficio  comunale  si
pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni  decorsi  i
quali la richiesta si intende rifiutata», ai sensi del comma  3,  del
richiamato art. 14 della legge regionale del  16  del  2016,  «3.  In
presenza della documentazione e dei pareri previsti, sulla  richiesta
di  permesso  in  sanatoria  il  dirigente  o  il  responsabile   del
competente ufficio comunale si pronuncia  con  adeguata  motivazione,
entro  novanta  giorni  decorsi  i  quali  la  richiesta  si  intende
assentita.». 
    La norma regionale richiamata, dunque, introduce un meccanismo di
silenzio assenso  che  discende  dal  mero  decorso  del  termine  di
sessanta giorni, laddove l'art. 36 del citato testo unico  stabilisce
la contraria  regola  che,  in  caso  di  richiesta  di  permesso  in
sanatoria,  laddove  non  intervenga  provvedimento  motivato   entro
sessanta giorni, la  richiesta  si  intende  rifiutata.  Essa  incide
pertanto  su  una  causa  estintiva  (art.  45  testo  unico)   delle
contravvenzioni  contemplate  dall'art.  44   collegata   di   regola
all'ottenimento di un provvedimento  espresso  circa  la  conformita'
delle opere realizzate in  mancanza  del  permesso  a  costruire.  Al
contrario, in questo caso il  giudizio  di  conformita'  puo'  essere
pretermesso, e l'effetto estintivo e' ricollegato  al  mero  silenzio
dell'amministrazione. La disposizione incide su una materia riservata
allo Stato con riguardo agli effetti sulla causa estintiva (Art. 117,
comma 2, lettera 1, Costituzione) e pertanto eccede dalle  competenze
statutarie riconosciute alla Regione siciliana dallo Statuto Speciale
di autonomia (regio decreto legislativo del 15 maggio 1946,  n.  455,
convertito in legge costituzionale n. 2/1948). 
    La Corte costituzionale con sentenza n. 19 del 2014  ha  ribadito
il principio, applicabile anche alle Regioni ad  autonomia  speciale,
secondo il quale «nessuna fonte regionale puo' introdurre nuove cause
di esenzione della responsabilita' penale, civile  o  amministrativa,
trattandosi di materia non disciplinata dagli  statuti  di  autonomia
speciale  e  riservata  alla  competenza  esclusiva  del  legislatore
statale  di  cui   all'art.   117,   secondo   comma,   lettera   l),
Costituzione». 
    La disposizione censurata contrasta altresi', infine, con  l'art.
3 della Costituzione, riguardo alle modalita' di  accertamento  della
natura  esclusivamente  formale  dell'abuso  realizzato,   che   solo
consentirebbe il rilascio postumo del permesso. 
    Viene infatti introdotta una  discriminazione  ingiustificata,  a
parita' di comportamento tenuto, fra  soggetti  operanti  in  diverse
regioni, per di piu'  in  materia  soggetta  a  misure  sanzionatorie
previste in leggi dello Stato. 
 
                                  V 
 
Articolo16. 
    a) Violazione dell'art. 14 dello Statuto  Siciliano  e  dell'art.
117 comma 3 della Costituzione in  relazione  alle  disposizioni  del
testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica del
6 giugno 2001 n. 380 ed in particolare al suo art. 94. 
    L'art.  16  reca  «Recepimento   con   modifiche   dell'art.   94
«Autorizzazione per l'inizio dei lavori» del decreto  del  Presidente
della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380.» 
    Il comma 1, di tale articolo  prevede  che:  «1.  Fermo  restando
l'obbligo  del  titolo  abilitativo  all'intervento  edilizio,  nelle
localita'  sismiche,  il  richiedente  puo'  applicare  le  procedure
previste dall'art. 32 della legge regionale 19 maggio 2003,  n.  7.».
L'art. 32, della legge regionale n. 7 del 2003, richiamato nel  comma
in questione dispone  quanto  segue:  «1.  Al  fine  di  snellire  le
procedure previste dalla legge 2  febbraio  1974,  n.  64,  ai  sensi
dell'art. 20 della legge 10  dicembre  1981,  n.  741  non  si  rende
necessaria l'autorizzazione all'inizio dei lavori prevista  ai  sensi
dell'art. 18 della suddetta legge 2 febbraio 1974, n. 64.». 
    Con specifico riferimento al tema dell'autorizzazione sismica  di
cui all'art. 94 del TUE, che ne prevede l'obbligo  prima  dell'inizio
dei lavori nelle localita' sismiche ad eccezione di  quelle  a  bassa
sismicita', il Giudice delle leggi, fin dalla  sentenza  n.  182  del
2006, ha  ritenuto  che  il  principio  della  previa  autorizzazione
scritta di cui all'indicata disposizione trae il  proprio  fondamento
dall'intento  unificatore  del  legislatore  statale,  il  quale  «e'
palesemente  orientato  ad  esigere  una  vigilanza   assidua   sulle
costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene
protetto,  che  trascende  anche  l'ambito   della   disciplina   del
territorio,  per  attingere  a  valori  di  tutela   dell'incolumita'
pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in  cui
ugualmente  compete  allo  Stato  la  determinazione   dei   principi
fondamentali»   e,   successivamente,   nel   confermare    l'intento
unificatore della disciplina statale in tale ambito (sentenza n.  254
del 2010), ha anche ribadito la natura di principio  fondamentale  in
relazione  al  menzionato  art.  94  (sentenza  n.  312  del   2010),
sottolineando altresi' che gli interventi edilizi nelle zone sismiche
e la relativa vigilanza fanno parte della  materia  della  protezione
civile,  oggetto  di  competenza  legislativa  concorrente  ai  sensi
dell'art. 117, terzo comma della Costituzione (sentenza  n.  201  del
2012). 
    Successivamente, la Corte costituzionale, nella  citata  sentenza
n. 101 del 2013, ribadendo orientamenti consolidati  con  riferimento
alla necessita' della previa  autorizzazione  all'inizio  lavori  per
l'esecuzione di interventi edilizi nelle zone sismiche, ha  precisato
che  «Nella  sentenza  n.  182  del  2006,  la  Corte  ha  dichiarato
illegittima, per violazione dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.,  una
disposizione della legge della Regione  Toscana  n.  1  del  2005  in
considerazione del mancato rispetto, sotto un diverso profilo, di una
norma statale di principio prevista  dall'art.  94  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  380  del  2001  sul  controllo  delle
costruzioni a rischio sismico, nella parte in cui non  stabiliva  che
non  si  possono  iniziare  lavori  senza  preventiva  autorizzazione
scritta del competente ufficio tecnico della Regione. La disposizione
regionale prevedeva, infatti, il semplice  preavviso  alla  struttura
regionale competente, senza richiedere  la  predetta  autorizzazione.
Piu' in generale, in questa  pronuncia  la  Corte  ha  affermato  che
«l'intento unificatore  della  legislazione  statale  e'  palesemente
orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo
al rischio sismico,  attesa  la  rilevanza  del  bene  protetto,  che
trascende  anche  l'ambito  della  disciplina  del  territorio,   per
attingere a valori di tutela dell'incolumita' pubblica che fanno capo
alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete  allo
Stato la determinazione dei principi fondamentali». 
    Ancora  con  la   sentenza   n.   201   del   2012,   dichiarando
l'illegittimita' di una disposizione della legge della Regione Molise
9 settembre 2011, n. 25, codesta Ecc.ma Corte  ha  ribadito  che  «la
normativa regionale impugnata, occupandosi degli  interventi  edilizi
in zone sismiche e della relativa vigilanza,  rientra  nella  materia
della  protezione   civile,   oggetto   di   competenza   legislativa
concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Costituzione».  Tale
inquadramento, recentemente ribadito nella sentenza n. 64  del  2013,
era peraltro gia' stato affermato nelle sentenze n. 254 del 2010 e n.
248 del 2009, in riferimento alla illegittimita' di deroghe regionali
alla normativa  statale  per  l'edilizia  in  zone  sismiche,  ed  in
relazione al titolo competenziale di  tale  normativa:  la  Corte  ha
ritenuto che essa rientri nell'ambito  del  governo  del  territorio,
nonche'  nella  materia  della  protezione  civile,  per  i   profili
concernenti «la tutela dell'incolumita' pubblica»  (sentenza  n.  254
del 2010). Tali rilevanti considerazioni sono  state  espresse  anche
nella successiva sentenza della Consulta n. 300 del 2013. 
    Cio' posto, si osserva che  lo  Statuto  speciale  della  Regione
Siciliana non prevede  espressamente  la  materia  della  «protezione
civile»,  ne'  all'interno  dell'art.  14  (materie   di   competenza
legislativa  esclusiva),  ne'  nell'ambito  dell'art.   17   (materie
concernenti  la  regione  per  le  quali  e'  attribuita   competenza
all'emanazione di leggi entro i  limiti  dei  principi  ed  interessi
generali cui si informa la legislazione dello  Stato).  Pertanto,  ai
sensi dell'art. 10 della legge Costituzionale del 18 ottobre 2001, n.
3, deve ritenersi che la Regione Siciliana sia titolare  di  potesta'
legislativa concorrente nella materia «protezione civile». 
    In conseguenza, alla luce delle precise indicazioni  del  Giudice
delle Leggi, si ritiene che la disposizione regionale  in  argomento,
risultando in contrasto con l'art.  94  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380 del 2001, che, al comma 1, stabilisce che «1.
Fermo  restando  l'obbligo  del  titolo  abilitativo   all'intervento
edilizio, nelle localita' sismiche, ad eccezione di  quelle  a  bassa
sismicita' all'uopo indicate nei decreti di cui all'art. 83,  non  si
possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione  scritta  del
competente ufficio tecnico della regione.»),  sia  stata  emanata  in
contrasto con i principi fondamentali  stabiliti  dalla  legislazione
statale nella materia «protezione civile» e,  quindi,  in  violazione
dell'art. 117, terzo comma della Costituzione. 
    b) Violazione dell'art. 14 dello Statuto  Siciliano  e  dell'art.
117 comma 3 della Costituzione in relazione agli articoli 65, 93 e 94
del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica
del 6 giugno 2001 n. 380. 
    Lo stesso art. 16, al comma 3, dispone che «3. Per lo snellimento
delle procedure di denuncia dei progetti ad essi relativi,  non  sono
assoggettati alla preventiva autorizzazione  scritta  del  competente
ufficio del Genio civile le opere minori ai fini della sicurezza  per
le costruzioni in zona sismica, gli interventi privi di rilevanza per
la pubblica incolumita' ai  fini  sismici  e  le  varianti  in  corso
d'opera, riguardanti parti strutturali che  non  rivestono  carattere
sostanziale, in quanto definiti e ricompresi in  un  apposito  elenco
approvato con deliberazione della Giunta regionale.  Il  progetto  di
tali  interventi,  da  redigere  secondo   le   norme   del   decreto
ministeriale  del  14  gennaio  2008  e   successive   modifiche   ed
integrazioni, e' depositato al competente ufficio  del  Genio  civile
prima del deposito presso il comune del certificato di agibilita'.». 
    In proposito, si evidenzia che nella gia' citata sentenza n.  300
del 2013, la Corte costituzionale ha anche rilevato che «la categoria
degli  «interventi  di  limitata  importanza  statica»,  a   cui   fa
riferimento la disposizione regionale impugnata,  non  e'  conosciuta
dalla normativa statale: non se ne fa menzione nel citato decreto del
Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n.  380  (Testo  unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia  edilizia),
che pure, all'art. 3, e' attento a classificare i diversi  interventi
edilizi all'interno di una specifica  tassonomia;  ne'  la  categoria
utilizzata dal legislatore regionale e'  reperibile  nella  normativa
tecnica, contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture  del
14 gennaio 2008 (Approvazione  delle  nuove  norme  tecniche  per  le
costruzioni). Dunque,  gia'  sotto  questo  profilo  la  legislazione
regionale  si  discosta  illegittimamente  dalla  normativa   statale
rilevante, perche' introduce  una  categoria  di  interventi  edilizi
ignota alla legislazione statale. 
    In ogni caso, il vizio di illegittimita' costituzionale si palesa
alla  luce  della  risolutiva  considerazione  che  la   disposizione
impugnata si pone in contrasto  con  il  principio  fondamentale  che
orienta tutta  la  legislazione  statale,  che  esige  una  vigilanza
assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico.  Infatti,  con
specifico riferimento al decreto del Presidente della  Repubblica  n.
380 del  2001,  invocato  quale  parametro  interposto  nel  presente
giudizio, la Corte, nella sentenza n. 182 del 2006, ha affermato  che
l'«intento unificatore  della  legislazione  statale  e'  palesemente
orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo
al rischio sismico,  attesa  la  rilevanza  del  bene  protetto,  che
trascende  anche  l'ambito  della  disciplina  del  territorio,   per
attingere a valori di tutela dell'incolumita' pubblica che fanno capo
alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete  allo
Stato la determinazione dei principi fondamentali». Analogo principio
e' ribadito nella recente sentenza n. 101 del 2013. 
    Pertanto, benche' apparentemente l'impugnato art.  171  introduca
una deroga soltanto in relazione a due  specifiche  previsioni  della
normativa statale [gli articoli 65 (R)  e  93  (R)  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  380  del  2001,  in  realta'  la  sua
portata e' piu' radicale e finisce  per  incidere,  compromettendolo,
sul  principio  fondamentale   della   necessaria   vigilanza   sugli
interventi  edilizi  in  zone  sismiche.  In  ragione  di   cio'   e'
irrilevante che l'impugnato art.  171  disponga  che  gli  interventi
edilizi «di limitata importanza statica» siano esenti soltanto  dagli
adempimenti di cui agli articoli 65 e 93 del decreto  del  Presidente
della Repubblica  n.  380  del  2001.  Il  suo  effetto  sostanziale,
infatti, va oltre la deroga ai suddetti articoli 65 e 93 e  consiste,
piuttosto,  nel  sottrarre  tali  interventi  edilizi  «di   limitata
importanza statica» ad ogni forma di vigilanza pubblica.  Infatti,  i
citati  articoli  65  e  93  prescrivono  gli  obblighi   minimi   di
segnalazione  allo  sportello   unico,   cosicche'   il   legislatore
regionale,   esentando   alcuni   tipi    di    interventi    edilizi
dall'assolvimento di tali obblighi minimi, in realta'  li  esenta  da
qualsivoglia obbligo. La disposizione regionale  impugnata  consente,
dunque, che determinati interventi  edilizi  in  zona  sismica  siano
effettuati  senza  che  la  pubblica  autorita'  ne  sia  portata   a
conoscenza, precludendo a quest'ultima, a fortiori,  qualunque  forma
di vigilanza su di essi. 
    Vale la pena ricordare che recentemente l'art. 3,  comma  6,  del
decreto-legge 6 giugno 2012, n.  74  (Interventi  urgenti  in  favore
delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno  interessato
il territorio delle province di Bologna,  Modena,  Ferrara,  Mantova,
Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° agosto  2012,  n.
122, ha consentito - in relazione alle  ricostruzioni  e  riparazioni
delle abitazioni private - una  deroga  esplicita  ad  una  serie  di
disposizioni, fra le quali gli articoli  93  e  94  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. Tale deroga pero',  come
ha rimarcato questa Corte nella sentenza n. 64 del 2013, e'  attuata,
«non senza significato, proprio con disposizione statale, a  conferma
della  necessita'  di   quell'intervento   unificatore   piu'   volte
richiamato dalla giurisprudenza di questa Corte».» 
    Alla  luce  di  tali  precise  e  perentorie  indicazioni   della
giurisprudenza costituzionale non  par  dubbia  l'incostituzionalita'
del censurato art. 16. 
    Da un lato infatti la norma regionale dispone l'esclusione  dalla
preventiva autorizzazione scritta del competente  ufficio  del  Genio
civile  per  «le  opere  minori  ai  fini  della  sicurezza  per   le
costruzioni in zona sismica, gli interventi privi di rilevanza per la
pubblica incolumita' ai fini sismici e le varianti in corso  d'opera,
riguardanti   parti   strutturali   che   non   rivestono   carattere
sostanziale, in quanto definiti e ricompresi in  un  apposito  elenco
approvato  con  deliberazione  della  Giunta  regionale»  e  che  «Il
progetto di tali interventi, da redigere secondo le norme del decreto
ministeriale  del  14  gennaio  2008  e   successive   modifiche   ed
integrazioni, e' depositato al competente ufficio  del  Genio  civile
prima del deposito presso il comune del certificato  di  agibilita'»,
e, quindi, anche  fino  all'ultimazione  dei  lavori  ed  anche  dopo
quest'ultima. 
    All'opposto, l'art. 65 del TUE stabilisce, al comma 1,  che,  «1.
Le opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed
a  struttura  metallica,  prima  del  loro  inizio,   devono   essere
denunciate dal costruttore  allo  sportello  unico,  che  provvede  a
trasmettere tale denuncia al competente ufficio  tecnico  regionale.»
e, al comma 3, che alla denuncia preventiva deve essere  allegato  il
progetto; ed a sua volta l'art. 93 del medesimo  T.U.E.  dispone  che
«1.  Nelle  zone  sismiche  di  cui  all'art.  83,  chiunque  intenda
procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni, e'  tenuto  a
darne  preavviso  scritto  allo  sportello  unico,  che  provvede   a
trasmetterne copia  al  competente  ufficio  tecnico  della  regione,
indicando  il  proprio  domicilio,  il  nome  e  la   residenza   del
progettista, del direttore dei lavori  e  dell'appaltatore.  2.  Alla
domanda deve essere allegato il progetto, ....». 
    E' pertanto incontestabile che le disposizioni regionali in esame
si pongono in assoluto contrasto con i  principi  fondamentali  della
normativa vigente in materia di «protezione civile» desumibili  dagli
articoli 94, 93 e 65 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
380/2001, introducendo per di piu', in ammissibilmente, una categoria
di lavori («minori» secondo il legislatore siciliano)  estranea  alla
sistematica normativa statuale;  esse  violano  pertanto  chiaramente
l'art. 117 terzo comma della Costituzione.